domenica 16 gennaio 2011

Ma come è nato veramente il concetto di consumo?!

A questo proposito sono state effettuate numerose ricerche sociologiche, che hanno dato origine a ottiche diverse:


Ad esempio Chandra Mukerij attribuisce l'origine del consumo al periodo rinascimentale, con il commercio nel periodo in cui sono nati i modelli culturali di tipo materialistico;


il sociologo Werner Sombart invece vede l'origine del consumo attorno al 1200 con la vendita degli oggetti di lusso che dovevano essere non solo costosissimi ma anche ostentativi; sostiene inoltre che l'individuo tenta di placare quell'angoscioso senso di morte cercando gratificazioni nella vita materiale e nel consumo dei beni;


per Colin Campbell il consumo è nato attorno il XVIII secolo in Inghilterra con la nascita della cultura romantica e la nascita del culto dell'individuo, l'essere unici, esprimere la propria personalità ... ciò ha dato origine ad un consumo di tipo edonistico-ostentativo...


secondo Jackson Lears invece, ha avuto origine negli USA alla fine XIX secolo un processo favorevole al consumo, che ha costituito un processo di trasformazione degli individui sul piano etico menzionato come "l'etica terapeutica dell'autorealizzazione" poiché è caratterizzata da un'elevata preoccupazione dell'individuo per la salute e per il suo benessere fisico e psichico.
 cfr V. Codeluppi, Manuale di Sociologia dei Consumi, 2007.

Qual è secondo voi la teoria più valida? 
Ne avete altre??

5 commenti:

  1. PARTE 1


    Il concetto di consumo credo sia rintracciabile fin dai tempi antichi e scandito dalle varie teorie che tu hai riportato. Credo sia importante però parlare del valore che il consumo ha acquisito durante gli anni. Il consumo come fatto al di fuori dell’uomo e come necessità svincolata dall’imposizione della società moderna. L’uomo moderno nella società di massa cosa consuma? La situazione al giorno d’oggi è tragica.
    Oggi la nostra esistenza è giostrata tra giochi di rimandi tra soggetto, oggetto e segno; tra volto, maschera e specchio; tra interiorità, mondo esterno e superficie dell'immagine; tra valore d'uso, valore di scambio e valore segnico. La società è di massa e di apparenza. Consumare è diventato il mezzo per esistere. Al giorno d’oggi si consuma perfino il corpo.
    il corpo, nella letteratura come nella vita, è diventato uno strumento attraverso cui la società del consumo mette le sue radici. L’anoressia, i muscoli gonfiati dagli anabolizzanti, l’obesità. Tutte cose che derivano da un senso del benessere che ha sostituito la bellezza al suo sciatto e volgare surrogato: facendo del corpo – il proprio corpo – un feticcio. Allora quei corpi non parlano, non si esprimono affatto, perché sono strutture vuote, cresciute nella dissociazione con lo spirito.

    Credo che gli ultimi artisti che hanno fatto del corpo un fine, una «manifestazione di verità», siano Pasolini, Francis Bacon, Cronenberg (Videodrome), Tsukamoto(Tetsuo : the iron man).
    Pasolini aveva un’immagine cristologica del corpo – un corpo sacro. Una sua poesia parla del “Cristo esposto” sulla croce – non “posto” – come a sottolineare il fatto che se la buona novella Cristo l’avesse solo detta si sarebbe limitato a indicare la verità, avrebbe costruito un metodo. Cristo invece l’ha vissuta fino all’esposizione ultima del suo corpo sulla croce, rendendo la verità, quindi, manifesta – verità e basta, senza mediazioni e distanze. Bacon ha invece rappresentato le forze nascoste del corpo, la forza in particolare attraverso cui un corpo si deforma, diventa altro, si fa, appunto, transito, attraverso cui si manifesta al mondo e ancor prima a se stesso. E lo ha fatto sapendo di poter dipingere solo quello, le potenzialità che lo spirito (spirito inteso come corpo quindi) ha di manifestarsi, di essere interprete e partecipe della realtà. I suoi quadri sulla crocifissione sono molto simili a una macelleria. Se ti interessa ho trattato brevemente Bacon, riportando del materiale trovato sul web nel mio blog www.matteopresuntotale.blogspot.com .

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  2. PARTE 2


    Anche la Pop Art rivela questa riflessione drammatica sul consumo. Ti consiglio di leggere l’opera massima di Benjamin “L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica” un testo che a me ha detto molto. La Pop Art riscatta l'oggetto di consumo facendone il protagonista dell'opera d'arte con fini demistificatori, con provocatoria ironia nei confronti della civiltà consumistica, imponendo alle masse una nuova lettura dell'oggetto prodotto industrialmente, e forse per queste ragioni, fra tutti i movimenti artistici del '900, la Pop Art è quello che più ha goduto del consenso popolare, quello in cui si attuò in qualche modo una convergenza tra le ali estreme della società: le masse da una parte e dall'altra la cultura d'avanguardia, con la sua trasgressiva celebrazione del modernismo industriale, della mancanza di stile, dell'omologazione consumistica, del distacco emotivo.
    La massa non ha volto, l’arte che la esprime deve essere il più possibile anonima: solo così potrà essere compresa e accettata dal maggior numero possibile di individui.
    L’intervento artistico, quindi, avviene mediante la manipolazione dei soggetti stessi, che possono essere dilatati, ripetuti e alterati in vario modo, agendo sia sulle forme sia sui colori, grazie ai mezzi sempre più raffinati che l’evoluzione delle tecniche fotografiche e tipografiche mette ormai a disposizione.
    In questo senso la Pop Art usa lo stesso linguaggio della pubblicità e risulta dunque perfettamente omogenea alla società dei consumi che l’ha prodotta.
    L’artista, di conseguenza, non trova più spazio per alcuna esperienza soggettiva e ciò lo configura quale puro manipolatore di immagini, oggetti e simboli già fabbricati a scopo industriale, pubblicitario o economico.
    La Pop Art è dunque arte di consumo, e in quanto tale deve essere consumata come un qualsiasi altro prodotto di massa, uguale per tutti e da tutti indifferentemente fruibile

    Credo che oggi il consumo ci coinvolga in modo viscerale:
    Il soggetto può perdersi, non distinguersi più dalle merci o consumarsi con esse, diventare esso stesso un semplice prodotto usa-e-getta. Egli è continuamente tentato dalla seduzione della merce, che gli chiede di rispecchiarsi in essa e quindi di spersonalizzarsi nel farsi oggetto esso stesso.
    la seduzione chiede all'individuo di «morire come realtà e di prodursi come gioco illusionistico» di apparenza appunto, di essere lo specchio ovvero la lusinga dell'altro. Nelle dinamiche basate sulla seduzione, come quelle presenti in una società dominata dalla pubblicità e da comportamenti consumistici, l'ostentazione acquista il ruolo fondamentale, la comunicazione prevarica la fisicità, la simulazione trionfa sulla realtà. Il rischio è allora quello di ritrovarsi senza coordinate, nello smarrimento totale, in un gioco di specchi fatto di merci semiotiche di cui l'arte Pop non sarebbe altro che il vertice linguistico. Si osanna l'oggetto nella sua sola banalità per distruggerne il senso. Il consumo nichilista del consumo stesso, che può essere scambiato per critica, ma che in realtà è semplice sfruttamento degli ultimi logori significati rimasti. La Pop non è quindi la critica del mercato, ma la prosecuzione della sua logica all'interno delle arti.


    Spero di averti reso chiara la mia opinione, ho riportato e rielaborato alcuni stralci trovati sul web visto che descrivevano chiaramente la mia posizione a riguardo.
    LINK http://www.antoninoromano.it/images/popart.pdf
    LIBRI “Il consumo della pop art. Esibizione dell'oggetto e crisi dell'oggettivazione” di Carriero Carolina




    Matteo


    PS ci vediamo venerd’ ☺

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  3. Ciao Matteo!

    questo tuo approfondimento ha fortemente ampliato la mia visione che avevo del consumo!
    L'intervento che hai fatto a riguardo mi è risultato veramente nuovo!
    Mi è piaciuto molto infatti capire come la PopArt sia riuscita a cambiare la concezione di consumo e renderla pubblica tramite le arti!
    A breve visiterò i link da te indicati!
    Grazie!
    M.

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  4. due grandi cantautori italiani, Lucio Dalla e Francesco de Gregori, in una loro famosa canzone - cosa sarà - si chiedono: "cosa sarà che ti fa comprare di tutto anche se è di niente che hai bisogno?" penso che questo interrogativo sia molto vicino al concetto di Jackson Lears di consumo=autorealizzazione, visto che nella canzone di cui parlo la risposta è la stessa che risponde alla domanda "cosa sarà che ti fa morire a vent'anni anche se vivi fino a cento?"

    in fondo è la paura della morte...

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  5. Ciao Anonimo!!
    Anch'io sono d'accordo con Jackson Lears, ed effettivamente la citazione che hai fatto, fa capire come le persone si rifugiano nei consumi per trovare gratificazione, e così facendo, non pensano (per il momento) alla morte, e cercano così di realizzarsi!
    Grazie!
    Dalla e de Gregori mancavano!!

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